IL POZZO (ER POS)

Nel deserto i pozzi sono presso i grandi snodi delle piste carovaniere e i tipici luoghi d’incontro: il servo di Abramo incontra Rebecca, la futura moglie di Isacco, proprio ad un pozzo, come è a un pozzo che Giacobbe ha notizie di suo zio Labano e Mosè conoscerà sua moglie proprio ad un pozzo nel deserto di Madiam. Ed è al “pozzo di Giacobbe”, nella regione di Sichem, che Gesù, stanco del viaggio, chiese ad una donna samaritana “Dammi da bere”.

Come possiamo notare per aprire la “Storia dei pozzi” non c’è che l’imbarazzo della scelta. Però, mentre sappiamo che il primo “vignaiolo” fu Noè, ci rimane una curiosità: chi fu il primo uomo a scavare un pozzo per avere “chiare, fresche e dolci acque?” Certamente l’esigenza era più sentita nelle zone desertiche, tanto che il “pozzo di Giacobbe” esiste tuttora. Sicuramente la presenza di acque sotterranee era conosciuta dagli uomini primitivi: in alcuni casi l’acqua sgorgava spontaneamente dal terreno, sorgenti e fontane che creavano pozze d’acqua più o meno grandi.

Ma veniamo ai nostri pozzi poirinesi. Certamente il più famoso è quello del centro storico, tra via Cesare Rossi e via del Castello: forniva acqua a tutta la “Poirino bene”. La “plebe” attingeva al “Pozzo Cristo”, nella via omonima (allora), ora via Padre Giacomo Marocco. Un pozzo comune a tutti c’era (e c’è tuttora) anche in frazione Masio: rivolto verso la strada interna alla borgata, era quindi accessibile a tutti i borghigiani. In tanti casi i pozzi erano comuni a due cascine: costruiti lungo il muro di separazione fra i cascinali, i due nuclei familiari attingevano acqua per le proprie esigenze e per gli animali allevati nella stalla e nel cortile.

E poi i pozzi per l’irrigazione. Sul libro “Una comunità di campagna”, storia delle borgate Favari, Avatanei e dintorni, di Alessandro Crivello e don Antonio Bellezza, è riportata la testimonianza di Emanuele Burzio, Manulin d’ra Caneuva, classe 1913. Dice Manulin: “Nel dopoguerra le cose sono cambiate nell’agricoltura ai Favari, anche con l’aiuto di don Giuseppe (Fassino). Aveva visto i pozzi irrigui da altre parti e propose di farne anche qui; ce n’era già uno alla cascina Bellezza realizzato dai Fogliato. In pochi anni se ne costruirono altri tre. Il primo fu il Consorzio Irriguo del Marentino, realizzato nel 1947, con la partecipazione di molti borghigiani proprietari di terreni che pagarono un tanto a giornata. Seguì quello degli Avatanei (realizzato da un altro consorzio irriguo) e infine quello dei Tinelli costruito da tre famiglie (i Burzio, i Gariglio e gli Elia) e dall’impresario Ronco di Carmagnola. Nei primi tempi don Fassino seguiva personalmente la gestione dei pozzi…”

Anche Silvano De Pizzol nel suo libro “Viva en ser cher” dedica alcune pagine ai pozzi ed all’irrigazione in genere: “L’irrigazione degli orti e dei campi era regolamentata da chiuse scorrevoli (saraije) su supporti di pietra”. Sono i cisòt (chiusini) che chiudevano un fosso e mandavano l’acqua nei prati “per caduta” sfruttando le pendenze naturali del terreno. Generalmente, prima dei chiusini, c’era una diga posizionata su un torrente: una “barcunà”. Questa intercettava l’acqua del torrente e tramite appositi fossi, i “fusà per bagnè”, la inviava verso i chiusini e poi nei prati.

De Pizzol ci ricorda anche un altro modo per tirar su l’acqua per l’irrigazione dai pozzi: “Essendo il nostro territorio ricco d’acqua, sorgevano sparse numerose “norie” funzionanti a trazione animale; oggi se n’è persa quasi la memoria e sono scomparse tutte, eccetto una, abbastanza recente, a Stuerda”. Cos’è esattamente una “noria”? Si tratta di un meccanismo utile a portare l’acqua in superficie tramite una serie di tazze che, scendendo nel pozzo, si riempivano di acqua per poi rovesciarla all’interno di un canale d’irrigazione. Il movimento della “catena di tazze” era assicurata da un animale, un bue o un asino, che, bendato, girava attorno al pozzo.

S. ORSOLA 2022                                                     a cura di Matteo Avataneo

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